Se pochi mesi fa di fronte all’avanzare dell’epidemia in tutta Europa i cittadini cantavano gli inni dai balconi e oggi assistono attoniti alle immagini delle proteste e delle violenze in strada, evidentemente qualcosa è successo. Il Governo e le Regioni farebbero bene ad interrogarsi sui motivi.
A febbraio giustamente si parlava di emergenza determinata dall’epidemia e dall’impreparazione del sistema sanitario a fronteggiare una minaccia insidiosa e sconosciuta. Dopo molti mesi parlare ancora di “emergenza” al ripresentarsi della prevedibile e prevista seconda ondata suona molto meno credibile. I cittadini hanno la consapevolezza che finché non saranno disponibili nuove cure e vaccini, l’epidemia si ripresenterà ad ondate cicliche ogni inverno.
La bolla che protegge il lavoro dipendente e il settore pubblico non durerà
Tutti hanno fatto sacrifici, anche se le conseguenze economiche si sono concentrate per il momento sui settori più esposti delle piccole e medie imprese, ma nessuno può ritenersi indenne. Alcuni sembrano coltivare l’odio tra categorie: è un esercizio inutile e pericoloso. Il lavoro dipendente e il settore pubblico sono adesso protetti da una bolla creata dal divieto di licenziamenti, dalla cassa integrazione e dallo sfondamento del bilancio pubblico, tutti interventi che però non possono prolungarsi nel tempo.
I sacrifici devono essere giustificati
Gli imprenditori sono abituati a rispondere in tempo reale alle minacce che si presentano e sono pronti a fare sacrifici, proprio per questo nei mesi scorsi hanno adottato con fiducia nelle istituzioni, le misure di contenimento dei contagi previste dai protocolli per la sicurezza, sopportandone i costi ingenti, soprattutto in termini di minore economicità della propria impresa. Si aspettavano, legittimamente secondo gli impegni assunti dal Governo, l’adozione e la messa in opera di concrete misure atte a scongiurare nuove chiusure.
Il Governo ha commesso il gravissimo errore di dare la sensazione che i sacrifici siano inutili.
Le imprese sono sottoposte a un attacco concentrico
Le imprese sono disposte a fare la propria parte per contrastare l’epidemia, ma non possono essere costrette nell’emergenza a difendersi simultaneamente dal virus, dalla normativa antivirus, dalla indifferenza e dalla inconcludenza della burocrazia.
L’emergenza sembra essere diventata l’alibi per prendere provvedimenti senza consultare le categorie, che spesso risultano all’atto pratico tanto maldestri quanto drastici. Inoltre i diversi livelli di governo in modo confuso e incoerente emettono atti che si cumulano e cadono sulla testa delle imprese senza alcuna semplificazione burocratica.
La situazione drammatica dei pubblici esercizi in Umbria
Il settore umbro della ristorazione ha ricevuto un ulteriore durissimo colpo. Ci chiediamo se qualcuno si è reso conto ad esempio che i pubblici esercizi (insieme a rosticcerie, pasticcerie, ecc.) in Umbria in questo momento sono sotto il tiro incrociato di Governo, Regione e burocrazie comunali. Infatti il Governo gli impedisce il servizio della cena (che per molti annulla i tre quarti dei ricavi) e, quindi, non possono fare altro che valorizzare il servizio del pranzo e le vendite per asporto dopo le 18.00. Nelle vendite per asporto però interviene l’ordinanza Tesei che gli impedisce la vendita tradizionalmente congiunta delle bevande a bassa gradazione alcolica e, se hanno bisogno di altri spazi all’esterno per il pranzo, nonostante le promesse di semplificazione, devono scontrarsi con il muro insormontabile delle burocrazie comunali.
Chiediamo alla Presidente Tesei di abrogare l’inutile divieto di vendita per asporto di bevande alcoliche che colpisce oggi il solo consumo familiare e consente alla grande distribuzione una sorta di “concorrenza sleale” nei confronti delle piccole attività dei servizi di ristorazione.
Chiediamo ai sindaci dell’Umbria di verificare che le rispettive burocrazie non vanifichino gli impegni di semplificazione al fine di garantire non solo a parole, ma anche nei fatti il sostegno alle imprese in questi momenti di emergenza.
La fiducia occorre meritarla
Il Governo chiede alle imprese di avere fiducia, ma dimentica che la fiducia occorre meritarla. Interi settori (palestre, scuole di danza, teatri, cinema, spettacoli, sale gioco, organizzatori di eventi, ecc.) che al pari degli altri hanno investito per applicare i rispettivi gravosi protocolli di sicurezza, sono stati chiusi: evidentemente il Governo ritiene rischiose non tanto quelle attività, ma i protocolli di sicurezza che lui stesso ha elaborato e imposto a quei settori.
Siamo consapevoli che il complesso della vita civile deve essere adeguato, probabilmente in modo stabile, su più alti livelli anticontagio, ma questo sarà possibile solo per mezzo di protocolli di sicurezza seri, affidabili e condivisi. Invece abbiamo visto il Governo fissare molto in alto l’asticella ai settori privati con protocolli rigorosissimi e poi alla prima occasione chiudere ugualmente gli stessi settori che si erano adeguati, mentre lo abbiamo visto abbassare di molto l’asticella nei trasporti pubblici, con pessimi risultati, a scapito di tutti.
Occorrono interventi senza più dispersione di risorse verso chi non ha subìto danni e senza più destinare risorse, tutte a debito nel bilancio pubblico, che non siano rigorosamente tese a sostenere lo sviluppo e la ripresa.
La coesione sociale viene meno quando i cittadini vengono costretti invece che convinti: purtroppo è quello che sta avvenendo adesso ai cittadini in genere e in particolare ai piccoli imprenditori.
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