(di Ilaria Alleva) Irene Jalenti è una jazzista ternana che si è trasferita oltreoceano (a Baltimora per la precisione) per realizzare il suo sogno e vivere di musica. Recentemente è arrivata prima a un talent musicale della città dove risiede e le abbiamo fatto alcune domande sulla sua brillante carriera.
Sei una figlia d’arte, oltre al negozio di famiglia puoi contare molti parenti musicisti di spicco, tra cui Sergio Endrigo, Mario e Francesco Jalenti, eppure tu hai trovato il successo a Baltimora, molto lontano da qui. Come hai fatto a finire oltreoceano e che consigli daresti ai giovani italiani che vogliono fare i musicisti per mestiere?
Il desiderio di emigrare negli Stati Uniti è nato nel 2008 dopo un viaggio a New York dove ho capito che se volevo veramente assimilare la tradizione ed il linguaggio jazz dovevo spostarmi dove il jazz è nato. Dopo una lunga ricerca tra conservatori e scuole decisi di fare un’audizione al Peabody Conservatory a Baltimore nella speranza di studiare con Jay Clayton e Gary Thomas. Mi fu assegnata una borsa di studio di merito e così mi trasferii trovando la localizzazione geografica molto comoda perché a pochi minuti da Washington DC, un’ora da Philadelphia ed un paio d’ore da New York. Questo mi ha permesso di espandere, in qualche modo, il mio territorio artistico senza rimanere in una sola realtà. Ai giovani italiani che vogliono fare i musicisti consiglio di essere umili e pronti a riconoscere che c’è tantissimo da imparare, quindi a non fermarsi alle cose che si sanno fare già bene, ma di uscire dalla propria comfort zone e cercare quei limiti che, una volta abbattuti, ci rendono migliori musicisti. Consiglio anche di non essere snob verso generi musicali che non sono nel loro stile, ma di imparare da tutta la musica per essere veramente artisti completi ed essere in grado di suonare con chiunque. Io sono venuta qui per fare la cantante jazz, ma quando si è presentata l’opportunità di fare da corista ad un’artista pop come Kelly Clarkson è stato importante per me essere in grado di adattare il mio stile canoro a quello che è il suo stile.
Lo scorso giugno hai vinto il primo premio al programma Baltimore Loves Talent della ABC (prima edizione), complimenti! A qualche mese di distanza come giudichi questa esperienza? Hai già deciso cosa fare con i soldi della vincita?
In realtà è stato tutto molto casuale perché non sapevo di questa competizione e normalmente comunque io non sono molto incline a partecipare a gare canore o talent show, ma un musicista di mia conoscenza mi mandò un messaggio consigliandomi di partecipare. Eravamo tutti in lockdown e quindi decisi di mandare un mio video, tanto di tempo ne avevo a volontà! Qualche tempo dopo mi fu comunicato che avevo passato la prima selezione e da lì continuai a produrre ed inviare video di esibizioni per avanzare nella competizione. Onestamente, non pensavo di vincere… insomma, quando mai vince una cantante che fa jazz ed improvvisa con lo scat? Eppure è successo e ne sono molto grata perché grazie a questa occasione andrò in studio di registrazione ad Ottobre per produrre il mio lavoro discografico.
Com’è fare musica in America in questo periodo?
Per quanto sia stato strano inizialmente e un po’ destabilizzante, non è affatto difficile ora. Qui ci si è subito mossi per capire come poter continuare a produrre musica ed il pubblico si è dimostrato apertissimo a supportare i musicisti virtualmente. Molte persone hanno iniziato a fare streaming di concerti su Facebook ed Instagram, me inclusa, e dopo poco anche i locali hanno iniziato a muoversi nella stessa maniera. A giugno, per esempio, mi sono esibita ad An Die Musik, una listening room qui a Baltimore. Il concerto era senza audience, ma completamente condiviso in diretta a pagamento su YouTube. Molti altri club si sono convertiti a questa nuova forma di esibizione. Certo, non è la stessa cosa per noi artisti che ci alimentiamo dell’energia che ci viene data dal pubblico e che cerchiamo una risposta immediata negli occhi degli spettatori, ma questa è la realtà e non possiamo fare altrimenti. Di positivo c’è che molte persone che dall’Italia non mi vedevano cantare dal vivo da anni, hanno avuto l’opportunità di collegarsi ed è stato molto emozionante per me.
Dicci 3 miti da sfatare su com’è vivere in America.
Il primo è che si pensa che appena si migra in America la vita cambia in meglio. La realtà è che lo shock culturale è grande, i costi sono esorbitanti, ed orientarsi non è assolutamente facile. Ci vuole molta forza mentale, iniziativa e tenacia. Il secondo mito è che si mangia male. Assolutamente no! Le realtà culinarie sono infinite grazie all’incredibile melting pot di culture che coesistono. È ovvio che se vai da McDonald mangi come mangi, ma i ristoranti veri esistono eccome. Basta un pizzico di apertura mentale. Ultimo mito è che in America funziona tutto meglio che in Italia. Le poste sono come in Italia, le file al supermercato sono come in Italia, il sistema burocratico è come in Italia (se non peggiore, a seconda dallo Stato in cui si vive). Insomma, alla fine tutto il mondo è paese!
A fine luglio hai ricominciato a fare musica dal vivo e hai presentato un nuovo progetto solista. Nuovo disco in arrivo? Quali sono i tuoi prossimi progetti?
In realtà questo progetto da solista sarà presentato la prossima settimana, il 22 agosto in Virginia in un bellissimo parco. Il progetto è nato spontaneamente dall’isolamento forzato che tutti abbiamo vissuto. Tutti questi mesi in casa senza dover uscire mi hanno molto stimolata artisticamente e mi sono ritrovata a riprendere la chitarra in mano, studiare, sperimentare con la loop station e vari pedali che avevo in una scatola da mesi, e a comporre musica originale quasi quotidianamente. Quindi tra pochi giorni presenterò brani inediti e arrangiamenti originali costruiti solo con l’utilizzo della mia voce. Poi, come ti dicevo prima, ad ottobre andrò in studio con il mio trio e qualche special guest, e non vedo l’ora di presentare questo nuovo capitolo del mio percorso musicale!
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