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Sgarbi presenta la mostra “Matrix” di Luciano Ventrone

Vittorio Sgarbi ha presentato a Roma la mostra personale di Luciano Ventrone “MATRIX. Oltre la realtà-Beyond reality”. Dopo l’anteprima di 9 opere esposte dal mese di agosto, il Museo Civico Archeologico e Pinacoteca “Edilberto Rosa” di Amelia ospita, negli splendidi locali dell’ex Collegio Boccarini, in origine un convento francescano del XIII-XIV secolo, un’antologica di 30 dipinti di Luciano Ventrone, con l’intento di farne conoscere la produzione più recente.

Dal 19 novembre 2017 al 25 febbraio 2018 la mostra, con l’estensione di dipinti di Ventrone distribuiti nelle sale espositive ai piani superiori, offrirà al visitatore un inedito confronto con la celebre collezione archeologica del Museo, in cui spiccano la celebre statua bronzea del generale romano Nerone Claudio Druso, detto Germanico, rinvenuta nel 1963 e l’ara “di Dioniso”, un bellissimo esemplare in marmo risalente al I secolo d.C., sulla cui fronte è scolpita la leggendaria nascita del dio.

Vittorio Sgarbi: “Ventrone è un artista contemporaneo che realizza opere che le persone vanno a vedere perché vogliono meravigliarsi. Ha saputo affermarsi come grande maestro nella figurazione con un virtuosismo eccezionale”.

Alcuni dei reperti conservati all’interno del Museo, in particolare i pregevoli capitelli dell’antica Ameria (il nome di Amelia in epoca romana) raccolti negli scavi della città e nei suoi dintorni, sono stati di ispirazione per Ventrone, dagli inizi degli anni Ottanta, per la realizzazione di alcune delle sue famose nature morte. «I monumenti muoiono quando non parlano più», ha affermato Tomaso Montanari.

Scopo della mostra, come scrive Cesare Biasini Selvaggi, è quello di farne dialogare quelli della storia romana di Amelia con le opere di un artista contemporaneo che è stato in grado di interpretarli con il linguaggio dell’oggi, evocando visioni e stimolando riflessioni nuove. E contribuendo, in questo modo, a trasformare un patrimonio culturale nell’ambito di uno scenario passivo, in un habitat quanto mai vitale e palpitante.

Luciano Ventrone nasce a Roma nel 1942. Nel 1983 un articolo scritto da Antonello Trombadori su “L’Europeo” induce lo storico dell’arte Federico Zeri a interessarsi dell’artista suggerendogli di affrontare il tema delle nature morte. È qui che inizia la sua lunga, e ancora non completa, ricerca sui vari aspetti della natura, catturando particolari sempre più dettagliati e quasi invisibili a “occhi bombardati da milioni di immagini”, quali sono quelli degli uomini della nostra epoca.

Il percorso espositivo inizia al piano terra del Museo, nelle sale dedicate alle mostre temporanee, con 7 dipinti recenti dell’artista romano, oltre a 2 opere degli inizi anni Novanta, nelle quali campeggia, in primo piano, la raffigurazione di alcuni reperti archeologici dell’antica Ameria.

La mostra prosegue ai piani superiori con altri 20 dipinti eseguiti negli ultimi anni che, senza complessi, si confrontano con l’archeologia, come la collezione di iscrizioni e basi funerarie, testimonianza di illustri famiglie amerine tra cui la Gens Roscia citata da Cicerone. Tra passato e presente, si innesta così un dialogo spesso imprevedibile e sorprendente, dove l’arte di Ventrone conferma la sua natura di meccanismo artificiale che infittisce, come in una camera oscura, il mistero della storia informandola di attualità.

Nella strabiliante tecnica di Ventrone la fotografia, ieri analogica oggi digitale, è un punto di partenza, dal quale decorre l’astrazione del soggetto, che si priva del suo essere materia per divenire un reticolo pulviscolare dalle fattezze di punti di luce e colore. Dei pixel, dalla colorazione codificata tramite uno o più valori numerici (bit, 0 o 1) non visibili all’occhio umano, che l’artista è in grado di cogliere successivamente con la pittura raggiungendo il massimo grado di astrazione concettuale.

Il titolo della mostra deriva dal termine latino “matrix” (“generatrice/matrice”). In questo caso, la matrice rappresenta una sorta di realtà simulata dagli atomi che organizzano ogni cosa intorno a noi, nel mondo fisico o in natura. I soggetti rappresentati dall’artista, come le sue proverbiali nature morte, non vanno mai visti pertanto come tali, ma astrattamente, nella traduzione pittorica della loro struttura atomico-molecolare. Per la loro comprensione è richiesta prima un’osservazione ravvicinata, quasi da microscopio, per poi allontanarsi dai dipinti. Prendendone le distanze.

La mostra è accompagnata da un catalogo edito da Carlo Cambi Editore che, oltre alla riproduzione delle opere a colori, contiene un testo a firma del curatore ed una testimonianza di Vittorio Sgarbi che dagli anni Novanta segue il lavoro dell’Artista e ne ha curato alcune mostre. Sono raccolti anche alcuni scritti sull’opera del Maestro di Achille Bonito Oliva, Paolo Dell’Elce, Edward Lucie-Smith, Roberto Tassi, Duccio Trombadori, Sergio Zavoli, Federico Zeri.

Foto: TerniLife ©

 

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