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Ast, Usb: “No alla politica dello struzzo!”

Sulla fusione tra Tata e ThyssenKrupp interviene anche la Federazione USB con la nota di Emanuele Salvati, componente il coordinamento nazionale Confederale ed Emanuele Pica, componente il coordinamento nazionale Lavoro Privato, che descrive un’analisi puntuale politico sindacale, sulla situazione di AST.

“Siamo arrivati al primo giro di boa, – scrive Usb – quello relativo all’annuncio della fusione tra Tata e ThyssenKrupp, che ha procurato subito una girandola di prese di posizione scontate e da puro teatrino, in primis quella dei sindacati confederali.

Con la nota emessa ieri hanno di fatto ammesso di essere in balìa delle onde, non capendo infatti che l’atteggiamento dell’azienda e la mancanza di relazioni sindacali sono parte di una strategia volta a gestire lo stabilimento in maniera autoritaria e unidirezionale, in vista della nuova ristrutturazione.

Appare evidente come la rincorsa affannata ad una gestione concertativa della fabbrica è, allo stato attuale, perdente e di retroguardia”.

“Anche la politica – continua la nota – non ha mancato di far sentire la sua voce, come sempre in questi contesti, cercando di coprire maldestramente la sua reale colpa: quella di gestire in modo non proficuo per il nostro Paese i rapporti economici e sociali, quale classe dirigente -sia di maggioranza che di opposizione e dei vari livelli istituzionali-, anche in Europa.

Non dimentichiamo che l’Action Plan europeo della siderurgia, divenuto legge due anni fa e che ridisegna strategicamente la geografia delle produzioni siderurgiche nel nostro continente – di cui la vertenza AST e l’accordo al Mise del 2014 sono figli- è stato approvato nel 2013 quando l’allora commissario per l’industria era Tajani, lo stesso che ieri si è subito mostrato strenuo difensore di AST”.

“I nostri politici – sottolinea Usb – sono punto di riferimento dell’oligarchia economico-finanziaria e tramite i governi ed i sindacati confederali, gestiscono i rapporti di forza sociali.

E’ notizia di ieri il fatto del ministro tedesco del lavoro che si è scagliato contro una paventata ipotesi di ridimensionamento delle produzioni e dei livelli occupazionali della ThyssenKrupp in Germania, perorando la pretesa della conservazione del quartier generale del nuovo colosso anglo-tedesco a Duisburg e del pieno coinvolgimento dei sindacati in questa delicata fase.

In Italia assistiamo invece ad una accondiscendenza del governo Gentiloni e di tutti i governi passati, alle dinamiche che vedono il capitale finanziario predatore delle nostre produzioni.

È un dato di fatto: l’Italia deve essere una delle periferie produttive d’Europa, relegata al ruolo di frontiera in funzione anti immigrazione.

Oltretutto, l’attuale classe dirigente ha una colpa ben più grande, quella di essere la quinta colonna di chi, all’inizio degli anni novanta, ha completamente svenduto le produzioni strategiche agli assaltatori di diligenze.

Dopo quasi trent’anni, cosa rimane della produzione industriale italiana, in questo caso siderurgica? Un deserto in mano alle multinazionali, in cui si infilano i piccoli produttori italiani come Marcegaglia.

Lo dimostrano le vertenze di Taranto e Piombino, in cui è necessario includere Terni: progetti e piani industriali declamati e non attuati, serviti solo ad incrementare il valore delle azioni dei gruppi interessati e, automaticamente, i dividendi degli azionisti.

Non a caso, la dura vertenza dell’AST che ha portato allo scellerato accordo al Mise, accordo che sta mostrando ormai da tempo i suoi frutti avvelenati, è parte di questo disegno predatorio e un punto focale su cui indirizzare lo sguardo, se si vuol comprendere in parte il futuro scenario:

la riduzione dei salari, del tonnellaggio di produzione, la lentezza nell’individuazione delle tecnologie per l’ambientalizzazione delle produzioni -in grado di ottemperare alle disposizioni dell’AIA- la gestione autoritaria dello stabilimento, il tentativo di velocizzare i tempi di produzione -a discapito della sicurezza e della qualità del prodotto- la volontà di rendere flessibili e di destinare ad altri reparti i lavoratori del reparto CCO7, le dichiarazioni dei managers di Materials circa l’impossibilità di tenere aperta SDF, l’indisponibilità al trattare una nuova piattaforma integrativa con nuovi premi di produzione. Tutti campanelli d’allarme che lasciano intendere la mancanza di volontà nel mantere questo stabilimento a ciclo integrato”.

“In quest’ottica – spiega Usb – si insedia pertanto la posizione di AST all’interno del mancato ingresso nella fusione Tata/TK.

Se il polo siderurgico ternano è rimasti fuori dalla partita e se è vero che TK ha intenzione di uscire gradualmente dalla produzione di acciaio, il futuro di AST sarà quello di essere ulteriormente ridotta nelle sue capacità produttive (spegnimento parziale o totale dell’area a caldo) e di essere messa sul mercato come un grande centro servizi.

Da qui si deve partire, da questa lettura, se si vuole salvare l’AST e se si vuole mantenere una produzione strategica per il nostro Paese.

Da questa consapevolezza devono partire i sindacati, che devono iniziare una vertenza generale prima dello scadere dell’accordo sottoscritto al Mise, come chiediamo da un anno e che per forza di cose deve avere anche un respiro nazionale, perché insieme a Taranto e Piombino c’è in gioco la sopravvivenza della siderurgia italiana, con il mantenimento di produzioni strategiche e migliaia di posti di lavoro.

Da qui deve anche partire la politica, perché è chiaro ormai a tutti che se questo Paese vuole restare sovrano, non può prescindere dal tornare a possedere i mezzi di produzione, all’interno di una nuova visione della gestione pubblica dell’industria e in un contesto di pianificazione economica.

E’ anche evidente che questa classe dirigente deve iniziare ad interrogarsi su qual è il vero ruolo della UE, se istituzione per il progresso sociale e civile dei popoli europei o fulcro degli interessi del capitale finanziario, che considera prioritario il mantenimento delle produzioni oppure privilegia il salvataggio delle banche.

Una cosa è certa, i lavoratori troveranno in USB l’organizzazione idonea per ribaltare i rapporti di forza e determinare quindi una nuova stagione di lotte che metta al centro la questione dei diritti, dei salari e delle produzioni”.

 

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