Salari e stipendi pro-capite: nel 2021 in provincia di Perugia sono inferiori del 3,1% rispetto alla media nazionale, mentre in provincia di Terni il divario con la media nazionale si allarga di molto: -24%. Con questi dati (nel 2021 12mila 085,92 euro di redditi da lavoro dipendente pro capite in provincia di Perugia, 9mila 483,63 euro in quella di Terni, 12mila 473,2 euro la media italiana), Perugia si piazza al 32esimo posto nella graduatoria nazionale delle 107 province italiane (Tabella 1) e Terni al 57esimo.
In provincia di Terni, tuttavia (Tabella 1 e Grafico 2), salari e stipendi pro-capite dal 2019 al 2021 sono cresciuti del 4,8%, superando di netto la media italiana (+2,5%) e segnando un aumento doppio rispetto al +2,4% registrato in provincia di Perugia.
In valori assoluti, nella media nazionale un dipendente ha ricevuto 301 euro lordi in più nel 2021 rispetto al 2019, in provincia di Perugia l’incremento è stato invece di 283 euro e in provincia di Terni di circa 434 euro.
Ovviamente, ancora una volta in vetta in termini di valori per redditi da lavoro dipendente pro-capite ci sono le province di Milano, Bolzano, Bologna e Parma (vedere Tabella 1 e Grafico 1). Basti pensare che a Milano le buste paga sono due volte e mezzo più pesanti della media nazionale (e di quella della provincia di Perugia) e 3,21 volte rispetto alla provincia di Terni.
È quanto emerge dalle elaborazioni provinciali realizzate dal Centro Studi Tagliacarne sulle voci che compongono il reddito disponibile a prezzi correnti.
Il rapporto evidenzia che “in Italia le buste paga più leggere in 22 province su 107 tra il 2019 e il 2021. In queste aree un lavoratore dipendente ha perso in media nel triennio 312 euro, a fronte di una crescita nazionale di circa 301 euro. Sensibili sono le differenze a livello territoriale. Salari più magri di oltre mille euro a testa si registrano a Venezia, Firenze e Prato. Mentre crescite al top si rilevano a Milano (+1.908 euro), Parma (+1.425) e Savona (+1.282). Sotto la Madonnina i dipendenti sono anche i meglio pagati d’Italia, con uno stipendio medio di 30.464 euro nel 2021, due volte e mezzo la media nazionale di 12.473 euro e nove volte più alto di quello di Rieti fanalino di coda nella classifica retributiva. Ma va detto che nel capoluogo lombardo il reddito da lavoro dipendente rappresenta oltre il 90% del reddito disponibile contro il 23,9% di Rieti e il 63,1% della media nazionale”.
Al Nord l’oro c’è e luccica. Ma allo stesso tempo non tutto ciò che luccica è oro La dichiarazione del Presidente Mencaroni
Il report del Tagliacarne segnala che “tra, il 2019 e 2021, il peso in termini pro-capite del reddito da lavoro dipendente sul totale del reddito disponibile è rimasto stabile intorno al 63%. Ma in 42 province su 107, delle quali solo sei sono del Mezzogiorno, è aumentato passando dal 68,7% nel 2019 al 69,7% nel 2021. Nel complesso, l’incidenza delle retribuzioni sulle entrate disponibili si rileva più marcata nelle città metropolitane (71,3%) meno nelle province (57,6%). Ai due estremi di questa forbice, come abbiamo visto, si trovano Rieti con il 23,9% e Milano con il 90,7%. Tanto che, se stilassimo una classifica del reddito disponibile al netto del reddito da lavoro dipendente, il capoluogo lombardo precipiterebbe all’ultimo posto in classifica con appena 3.131 euro a testa”.
Cosa significano questi dati sul rapporto tra reddito da lavoro dipendente e reddito disponibile? Che nel Nord del Paese i redditi da lavoro dipendente sono certamente più elevati, e talvolta molto più elevati rispetto al resto del Paese, ma che i dipendenti possono contare su meno entrate extra lavoro dipendente, su cui invece possono contare i dipendenti di molte altre regioni, soprattutto quelle a maggiore vocazione agricola: dai pezzi di terra coltivati che rendono in termini di autoconsumo familiare e/o in termini di vendita alla messa a valore attraverso la locazione (in forte crescita sono state quelle turistiche, dai bed &breakfast alle case vacanza e così via).
A questo, va aggiunto che in molte realtà a cominciare da Milano, dove i redditi da lavoro dipendente pro-capite sono molto più elevati della media nazionale, anche il costo della vita è maggiore e quindi, se si trasformano i dati rendendoli in PPA (Parità di Potere d’Acquisto), la distanza si ridimensiona.
“L’Umbria – afferma il Presidente della Camera di Commercio dell’Umbria, Giorgio Mencaroni – è impegnata nel recupero della produttività e dell’innovazione che ha iniziato a perdere all’inizio degli anni Duemila e che sono poi crollate durante la Grande Recessione seguita alla crisi dell’economia finanziaria mondiale del 2007-2008. Aumentare la produttività, sia quella di sistema sia quella aziendale, il che equivale a fare importanti balzi innovativi, è la via maestra per la crescita dell’economia e per quella delle retribuzioni, che però andrebbero aiutate nel breve e medio con un robusto taglio del nucleo fiscale, per mettere in condizioni di parità rispetto agli altri Paesi europei. Detto questo, è importante osservare due cose dei dati del Tagliacarne: il primo è che, nelle aree – a cominciare da Milano – dove salari e stipendi sono assai elevati, questi rappresentano oltre il 90% del reddito disponibile degli stessi lavoratori dipendenti, mentre nelle altre regioni tale quota è più bassa. Ciò significa che in altre regioni i lavoratori dipendenti godono di ulteriori entrate. E poi il fatto che anche il costo della vita a Milano è assai più elevato che altrove. Questo per dire che i modelli di sviluppo possono essere diversi e certamente l’Umbria, se deve assolutamente effettuare un forte recupero di produttività e di innovazione, deve tuttavia guardare a un modello di crescita che non distrugga i fattori della sua qualità della vita e che non stravolga le vocazioni della regione. L’obiettivo deve essere quella di diventare una regione ideale dove poter vivere e fare impresa. Insomma, è verissimo che al Nord l’oro c’è e luccica. Ma è anche vero che non tutto ciò che luccica è oro”.