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Sviluppo e lavoro, le “sei piaghe dell’Umbria” da curare

Sei le principali ‘piaghe’ da curare con costanza e attenzione per cogliere nell’arco del prossimo decennio l’obiettivo, ambizioso ma possibile: rendere l’Umbria il luogo ‘ideale’ dove poter vivere e fare impresa. E queste ‘piaghe’ possono essere curate anche alla luce di importante potenzialità che l’Umbria possiede e di altri punti di forza che può vantare. Con due premesse: la vision deve essere quella di una regione dove la crescita si abbini a un livello elevato di qualità della vita, perché l’obiettivo non è la crescita pur che sia, ma il benessere economico e sociale; la seconda è che l’efficacia della cura delle ‘sei piaghe’ è direttamente proporzionale alla capacità degli attori in campo di muoversi insieme verso l’obiettivo di fare un balzo in avanti in termini di competitività e attrattività, per fare dell’Umbria una terra di innovazione tecnologica, sociale e culturale, in cui non solo le imprese ma anche le persone siano poste al centro di un modello dove sviluppo sostenibile. Una regione “ideale” dove vivere e fare impresa.

Lo afferma, mettendo sul tavolo numeri e valutazioni e fornendo anche notizie (come il fatto che si stanno facendo importanti passai avanti nel lavoro per un provvedimento concertato tra Camera di Commercio, Regione e, si spera, Università degli Studi di Perugia, Università per Stranieri, Fondazioni e Associazioni di categoria, per incentivare i giovani laureati a restare a lavorare nella regione) il Presidente della Camera di Commercio dell’Umbria, Giorgio Mencaroni, nel video “Il Punto del Presidente”, curato dall’Ufficio Stampa e Comunicazione dell’Ente camerale.

 

Il modello umbro deve basarsi più sul ‘software’ che sull’“hardware”

Il tema per Mencaroni non è quello di stravolgere le vocazioni dell’economia e della società regionale, attuando esperimenti economici e sociali palingenetici, ma tracciare e concretizzare strategie di crescita, contribuendo allo sviluppo nazionale secondo forme e modalità che le sono proprie, sulla base del sistema territoriale di competenze, delle caratteristiche del tessuto economico e, non ultimo in ordine d’importanza, dei propri vincoli di scalabilità industriale.

Il modello umbro deve basarsi più sul ‘software’ che sull’“hardware”, nel senso che va innalzata la qualità dei processi e dei prodotti, rendendoli tecnologicamente più avanzati, più che puntare su complessi di industria pesante, non rispondenti a quell’equilibrio di sostenibilità ambientale che rappresenta non solo una vocazione identitaria della regione, ma anche una carta di competitività, sulle ali della transizione ecologica.

Una regione che sente quindi il bisogno di riposizionare l’intero sistema economico lungo la catena del valore, perseguendo strategie volte ad una maggiore integrazione delle filiere e favorendo lo sviluppo di specializzazioni verticali di settori evoluti.

 

Le sei ‘piaghe’ da curare

  • L’isolamento a causa dell’insufficiente dotazione infrastrutturale nel sistema della mobilità e dei trasporti. E qui Mencaroni si sofferma sulla necessità di completare il collegamento tra i porti di Ancona e Civitavecchia, visto che il 18% del trasporto merci oggi avviene via mare e l’Umbria gioca in questo asse viario un ruolo primario.
  • La scarsità di investimenti privati in R&S (nel 2019 1,03% del Pil, contro l’1,46% del dato nazionale, con la spesa in R&S delle imprese che rappresenta in Umbria una percentuale assai ridotta della R&S totale, contro il 63,17% della media nazionale). In questo quadro, s’inserisce il tema del debole collegamento tra sistema della ricerca e sistema produttivo, con gli assetti produttivi a minore intensità di R&S,
  • livello di digitalizzazione delle imprese sotto la media nazionale, anche se non di moltissimo (secondo i dati censuari dell’Istat la quota di imprese umbre con 3 e più addetti impegnate nel triennio 2016-2018 in progetti di innovazione è pari al 36,4 per cento, contro il 38,4 per cento registrato complessivamente in Italia. L’innovazione è relativamente più diffusa nell’industria in senso stretto – 41,4 per cento – e fra le aziende del settore commercio – 40,3 per cento – Tuttavia in Umbria nei diversi settori, tranne nel commercio, la quota di aziende impegnate in progetti di innovazione è inferiore a quella registrata a livello nazionale. Il dato della provincia di Perugia si colloca sul valore prossimo alla media nazionale, mentre nella provincia di Terni poco più di un terzo delle aziende dichiara di svolgere attività innovative).
  • bassa domanda di figure qualificate, con insufficiente capacità del sistema produttivo di assorbire e impiegare  i laureati e sottoutilizzazione degli istruiti (nel 2020, nonostante le difficoltà di movimento a causa del Covid, si sono trasferiti all’estero, cancellando la residenza in Umbria, 552 laureati, contro 189 laureati che sono arrivati in Umbria dall’estero, per un bilancio negativo annuo per l’Umbria di 363 laureati, cui va aggiunto lo sbilancio negativo nel movimento dei laureati con le altre regioni italiane). Quanto ai laureati sovraistruiti, l’Umbria è tra le prime regioni d’Italia: nel 2019 la percentuale di lavoratori sovraistruiti era del 25% in Italia e del 32% in Umbria);
  • Decremento demografico e invecchiamento della popolazione (l’indice di vecchiaia, ossia il rapporto percentuale tra la popolazione di 65 anni e oltre e la popolazione di età 0-14 anni, nel 2021 è 217,2 in Umbria, 193,4 nel Centro e 183,3 in Italia). Su questo argomento cruciale il Presidente della Camera di Commercio vede tra l’altro nelle politiche di rigenerazione urbana, che aumentano la qualità della vita, una leva per contribuire ad aumentare il tasso di fecondità femminile, se all’interno di queste politiche l agevolazioni alle giovani coppie saranno robuste.
  • Costo del credito in Umbria più elevato rispetto alla media nazionale. (Nel III trimestre 2022 il tasso d’interesse (Tae) medio sui prestiti bancari erogati alle società non finanziarie e famiglie produttrici, escluse le ditte individuali, per esigenze di liquidità sono stati del 3,72% rispetto al 2,96% della media nazionale, con il Centro che presenta un tasso del 3,16%. Il tasso d’interesse medio praticato invece a società non finanziarie e famiglie produttrici, escluse le ditte individuali, sui prestiti bancari connessi ad esigenze di investimento sempre nel III trimestre 2022 in Umbria è del 2,57%, contro l’1,9% del dato nazionale e dell’1,41% del Centro.

 

Di fronte alle sei piaghe anche importanti punti di forza

Non solo cahiers de doléances nell’intervento di Mencaroni, ma anche la sottolineatura dei punti di forza dell’Umbria da salvaguardare e valorizzare:

  • il posizionamento, connesso alla percezione ancora molto solida, di regione verde, poco popolata e con un alto livello di qualità della vita;
  • l’attrattività delle splendide aree interne;
  • le potenzialità assicurate dall’ottimo grado di istruzione medio, soprattutto femminile;
  • la possibilità di rigenerazione di immobili –- anche di pregio storico – a prezzi ragionevoli. Una terra ideale da visitare, ma soprattutto ideale per vivere, investire, intraprendere pur rimanendo collegati con il resto d’Italia e del mondo
  • Umbria  spoke di Hub più strutturati – Ad eccezione del settore siderurgico, nel territorio sono poche le grandi industrie effettivamente capaci di scalare le filiere, ma non per questo non sussistono le condizioni per una strategia di sviluppo in settori innovativi come quelli della bio economia circolare, il digitale o le medicina 4.0.

La dimensione, che apparentemente potrebbe sembrare un fattore di debolezza del territorio, rappresenta proprio uno dei punti di forza che rendono la nostra regione eleggibile per avere un ruolo adeguato all’interno di alcune traiettorie di sviluppo del piano nazionale.

In quest’ottica l’Umbria è un territorio fertile per sperimentare dei modelli di riqualificazione di siti industriali dismessi basati su attività di specializzazione economica, che abbiano al loro centro sostenibilità e innovazione. Il tutto sempre nella consapevolezza dei limiti dimensionali dell’Umbria, ponendosi come “partner sperimentale” di una strategia ben più ampia del sistema paese e quindi, come nel caso della bioeconomia circolare, come spoke di Hub più strutturati, secondo un modello che valorizzi al massimo un approccio sistemico.

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