Trecento militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Reggio Calabria, sotto il coordinamento
della locale Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia, diretta dal Dott. Giovanni
Bombardieri, stanno eseguendo – con il supporto di altri Reparti del Corpo, nelle province di Reggio Calabria,
Vibo Valentia, Bari, Napoli, Roma, Terni, Vicenza, Milano e Novara – provvedimenti restrittivi della libertà
personale, emessi dalla Sezione G.I.P. del Tribunale di Reggio Calabria, nei confronti di 36 soggetti (34 in
carcere e 2 ai domiciliari) coinvolti in un traffico internazionale di sostanze stupefacenti aggravato dalla finalità
di agevolare la ‘ndrangheta.
Contestualmente, sono in corso perquisizioni e sequestri per dare esecuzione a provvedimenti cautelari reali
finalizzati alla confisca, anche per equivalente, di beni e disponibilità riconducibili ai membri
dell’organizzazione, fino alla concorrenza dell’importo di oltre 7 milioni di euro, nonché dell’intero patrimonio
aziendale di n. 2 imprese, attive nel settore dei trasporti ed utilizzate per il compimento degli illeciti.
L’operazione in rassegna costituisce l’epilogo di complesse indagini, nel cui ambito sono state sequestrate oltre 4
tonnellate di cocaina per un valore al dettaglio di circa 800 milioni di euro, condotte dal Gruppo Investigazione
Criminalità Organizzata (G.I.C.O.) del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Reggio Calabria, con il
coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria supportata da EUROJUST. Essenziale
per il buon esito delle attività si è dimostrato il coinvolgimento delle più importanti Istituzioni ed Agenzie
europee ed internazionali dedite al contrasto dei crimini transnazionali. Le indagini, infatti, per il tramite del II
Reparto del Comando Generale della Guardia di Finanza sono state realizzate con la collaborazione di
EUROPOL e della D.C.S.A., nonché della Drug Enforcement Administration (D.E.A.) americana.
Nel dettaglio – allo stato del procedimento e fatte salve successive valutazioni in merito all’effettivo e definitivo
accertamento della responsabilità – l’operazione ha consentito di destrutturare una articolata organizzazione
criminale, attiva all’interno dello scalo portuale gioiese, che avrebbe garantito tanto il recupero di ingenti partite di narcotico – giunte a bordo di navi cargo provenienti dal Sudamerica – quanto il successivo stoccaggio presso depositi ritenuti “sicuri”.
L’organizzazione, che avrebbe assicurato la logistica del narcotraffico come se fosse una vera e propria società di
servizi, era articolata su tre distinti livelli di soggetti coinvolti: esponenti delle principali famiglie di ‘ndrangheta,
in grado di garantire l’importazione delle partite di cocaina in arrivo dal Sudamerica; coordinatori delle squadre
di operai portuali infedeli che avrebbero retribuito la squadra con una parte della “commissione”, variabile tra il
7 e il 20% del valore del carico, ricevuta dai committenti (le dazioni ricostruite ammonterebbero ad oltre 7
milioni di euro); operatori portuali materialmente incaricati di estrarre la cocaina dal container “contaminato” e
procedere all’esfiltrazione dello stesso verso luoghi sicuri.
L’attività ha permesso di rilevare la dettagliata organizzazione dei narcotrafficanti, soliti comunicare con telefoni
cellulari criptati.
Dalla minuziosa ricostruzione sarebbe emerso che, dopo l’indicazione ai referenti locali da parte dei fornitori
sudamericani del nominativo della nave in arrivo e del contenitore con la sostanza stupefacente, l’importazione
passava sotto la supervisione dei dipendenti portuali coinvolti, i quali si attivavano affinché il container
“contaminato” venisse sbarcato al momento opportuno e posizionato in un luogo convenuto. Avuta la
disponibilità dello stesso, la squadra di portuali infedeli provvedeva a collocarlo in un’area “sicura”,
appositamente individuata, per consentirne l’apertura e, quindi, lo spostamento del narcotico in un secondo
container (abitualmente indicato dagli indagati come “uscita”) ritirato, nelle ore successive, da un vettore
compiacente e trasportato nel luogo indicato dai responsabili dell’organizzazione.
È proprio la ricostruzione della complessa fase dello spostamento dei container all’interno del porto che avrebbe
consentito di disvelare la modalità utilizzata dai portuali per il trasbordo dello stupefacente, da loro stessi
denominata sistema del “ponte”.
Nello specifico, individuata l’area di sbarco idonea allo scopo, il contenitore “contaminato” veniva posizionato
difronte al contenitore “uscita”, lasciando trai due la sola distanza necessaria all’apertura delle porte per lo
spostamento della merce illecita. Al di sopra dei due container, quindi, ne veniva adagiato un terzo, denominato
appunto “ponte”, con lo scopo di celare, anche dall’alto, i movimenti nell’area sottostante.
Una volta allestita l’area, al fine di non destare sospetti, i portuali infedeli venivano trasportati sul luogo delle
operazioni, nascosti all’interno di un quarto contenitore, che veniva adagiato nella medesima fila ove era stata
allestita la struttura.
Infine, per evitare che soggetti estranei ai fatti intralciassero le operazioni illecite, due straddle carrier (veicoli
speciali adoperati per la movimentazione dei container), condotti dagli indagati, stazionavano ai lati della fila di
contenitori ove era stato costruito il ponte, per impedirne l’accesso e monitorare, dall’alto, l’eventuale arrivo
delle Forze dell’Ordine.
Terminate le operazioni, dunque, ai container venivano applicati sigilli contraffatti. A quello proveniente dal Sud
America veniva apposto un sigillo “clone”, spedito dalla stessa organizzazione fornitrice ed occultato all’interno
di uno dei colli contenenti la sostanza stupefacente, mentre al container “uscita” veniva apposto un sigillo
fasullo, predisposto dalla compagine criminale incaricata del recupero del narcotico.
È, inoltre, emerso il coinvolgimento di un appartenente all’Ufficio Antifrode dell’Agenzia delle Dogane e dei
Monopoli di Gioia Tauro (destinatario di misura cautelare in carcere), il quale – al fine di agevolare
l’organizzazione criminale investigata – sfruttando le proprie mansioni nell’ambito dei previsti controlli ispettivi,
avrebbe alterato l’esito della scansione radiogena operata su un container contenente 300 Kg di cocaina,
oscurando le anomalie riscontrate e attestando la coerenza della scansione con il carico dichiarato. Per tale
comportamento il doganiere avrebbe ottenuto una somma di denaro par al 3% del valore del carico illecito.
Le indagini hanno inoltre consentito di individuare i soggetti responsabili della progettazione ed esecuzione di un
rilevante traffico dal Sudamerica alla Calabria, caratterizzato da periodiche e imponenti, ognuna di circa 2
tonnellate, importazioni di stupefacente.
In una occasione, al fine di eludere i controlli gli indagati calabresi avrebbero ideato e richiesto ai fornitori
colombiani specifiche modalità di occultamento del narcotico, inviando veri e propri schemi in cui veniva
suggerita, mediante la raffigurazione del container, la ponderata distribuzione del carico, con la previsione
dell’occultamento di 4 panetti di cocaina all’interno di ogni singola scatola del “carico di copertura” (banane), ad
esclusione delle prime e delle ultime file di scatole, da non “contaminare” poiché più facilmente ispezionabili.
Il carico, consistente in circa 1.920 panetti di cocaina, che avrebbe dovuto eludere i controlli effettuati con
l’utilizzo dello scanner, è stato, tuttavia, intercettato e posto sotto sequestro dai Finanzieri.
Tra i soggetti coinvolti figurano quattro narcotrafficanti internazionali, due originari della fascia ionica reggina e
due di origine campana, di cui uno, di rilievo criminale assoluto, è stato recentemente espulso da un Paese
Mediorientale per fatti analoghi.
L’attività di servizio in rassegna testimonia la costante ed efficace azione della Guardia di Finanza e della
Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia nel contrasto al traffico internazionale di sostanze
stupefacenti, anche posto in essere, attesa la portata transnazionale del fenomeno, con la sinergica cooperazione
dei principali organismi nazionali ed internazionali preposti al contrasto di tale crimine.
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