La ricorrenza della festa del patrono di Narni san Giovenale, il 3 maggio, è stata celebrata in forma contingentata e ridotta, in ossequio alle norme di contrasto alla epidemia del Coronavirus. Il vescovo Giuseppe Piemontese, ha celebrato il solenne pontificale nella concattedrale di Narni per fare memoria del santo Patrono, e quale segno di unità spirituale nella preghiera per il popolo sofferente a causa del Coronavirus.
Presenti il sindaco Francesco De Rebotti, che ha donato l’olio e acceso la lampada davanti al busto di San Giovenale e recitato la preghiera al santo patrono, i rappresentanti delle parrocchie del narnese che hanno offerto i ceri, i rappresentanti dei Terziari e del corteo storico della Corsa all’anello, i fedeli narnesi. Hanno concelebrato il parroco don Sergio Rossini, i canonici del capitolo della Concattedrale di Narni, i sacerdoti della vicaria di Narni.
L’ardore missionario di San Giovenale
Il vescovo ha rivolto un saluto particolare ai malati, anziani, a coloro che hanno avuto sofferenze e lutti nel tempo della pandemia. Ricordando poi il patrono e primo vescovo di Narni ne ha sottolineato «l’ardore nello svolgere la missione di evangelizzatore. Nella sua qualità di medico, ma anche di custode e guida del popolo, ne divenne il difensore, defensor civitatis: al suo tempo e ancora oggi, in tempo di pandemia, da nemici ancora più subdoli. A lui ci rivolgiamo con fiducia: vigilia oggi sulla salute, sul benessere; guidaci alla concordia, alla pace e alla santità di questa comunità civile ed ecclesiale».
Proteggere e custodire il tesoro della fede
«Questa mattina siamo al cospetto di san Giovenale per incontrarlo e onorarlo – ha aggiunto il vescovo -. E tuttavia vogliamo dare verità al nostro incontro e rispondere al richiamo del santo, che ci propone una sterzata alla nostra vita invitandoci ad essere cristiani fedeli e autentici. Di generazioni in generazione è stata trasmessa la fede delle famiglie, della comunità cristiana cittadina fino a noi, che abbiamo accolto questo tesoro.
Ci chiediamo: quale convinzione, consapevolezza, testimonianza abbiamo e viviamo in riferimento alla nostra identità di cristiani, alla fede e all’amore per Gesù?
Le rilevazioni statistiche, ma anche l’osservazione comune dicono che la frequenza alla messa domenicale, la partecipazione alla vita della chiesa e la coerenza con i principi e valori cristiani è scemata. Il tesoro di conoscenze, convinzioni, amore, ricevuto per l’opera di san Giovenale si va dilapidando, smarrendo. La nostra generazione non è all’altezza di proteggere e custodire il tesoro della fede, dell’amicizia con Gesù, la nostra tradizione cristiana, la solidità della nostra chiesa. Adulti indifferenti, giovani distratti e ammaliati da lucciole e surrogati di felicità, famiglie scombinate dalle fragilità dei tempi, dalla indifferenza spirituale, da malsana laicità. Il tesoro in vasi di creta può conservarsi intatto e custodirsi se la nostra responsabilità fa affidamento sulla grazia di Dio, ed è riconosciuto come dono di Dio».
Una vita cristiana più autentica
«San Giovenale ha donato la sua vita per amore. I cristiani di quella iniziale comunità e dei secoli successivi hanno accolto questa consegna e hanno edificato, in una corale impresa coraggiosa, la chiesa: quella spirituale, questa cattedrale e tanti altri segni ed espressioni della loro fede, che hanno consegnato alle odierne generazioni.
Noi cristiani del XXI siamo afflitti e mortificati perché la festa esterna di san Giovenale si celebra solo on line, virtualmente, la corsa all’anello, momento altro di questa festa non si può mettere in atto, la tradizione si raffredda e i gli interessi sono annullati. Credo sia il momento di porre mano a rafforzare la vera tradizione legata a san Giovenale: la conversione ad una vita cristiana più autentica e la testimonianza cristiana più concreta e visibile».
Il vescovo ha poi ricordato quanti in questo periodo sono stati dei buoni pastori per le persone che hanno avuto accanto ed ha invitato a riflettere sul senso della vita in questo tempo di pandemia: «Molti, di fronte alla sofferenza e alla morte di propri cari ed amici sono stati indotti a riflessioni esistenziali più sentite e a considerazioni sul valore della vita nella sua consistenza e durata. Oggi volgiamo leggere tutto questo alla luce di Gesù Risorto, che dà senso all’esistenza, e di san Giovenale che ci sosteine a non lasciarci andare allo scoraggiamento e alla china di una indifferenza religiosa che sembra di moda, e al disimpegno civile ed ecclesiale».
La celebrazione si è conclusa sulla gradinata della concattedrale, da dove il vescovo Piemontese ha impartito la benedizione alla città.
L’offerta dei ceri
Il 2 maggio, alla vigilia della festa del patrono di Narni San Giovenale, si è tenuta la tradizionale cerimonia “De Cereis et Palii Offerendi”, l’omaggio al vescovo della diocesi di Terni, Narni e Amelia successore di San Giovenale da parte delle autorità comunali della città di Narni, delle sue contrade e dei rappresentanti delle arti. Una cerimonia che in questo anno di pandemia ha avuto una valenza diversa, perché incentrata sull’attualità di questo difficile periodo, e con protagonisti non consueti. Sono stati infatti i rappresentanti del mondo ospedaliero, medico, scolastico, del volontariato, del commercio e dei vari ambiti in particolare lotta al Coronavirus oltre ai consueti delegati dei Terzieri a fare omaggio al vescovo Giuseppe Piemontese.
Hanno consegnato simbolicamente il cero al vescovo Piemontese i rappresentanti delle associazioni di volontariato che, nel tempo del Covid19 sono stati accanto ai deboli e malati; le associazioni di Protezione Civile; le associazioni benefiche cattoliche; coloro che hanno perso il lavoro; medici e infermieri e operatori sanitari; coloro che sono guariti dal Covid; gli insegnanti e gli studenti; una coppia di sposi; gli universitari; gli operatori del turismo, operatori delle arti e dello spettacolo, di quanti hanno continuato ad essere a disposizione del pubblico come i negozianti di generi di prima necessità; una rappresentanza di chi perso i propri congiunti a causa del Covid ed infine i ceri dei cittadini di Narni e dei terzieri.
La consueta simbolica liberazione del prigioniero è stata concretizzata in una raccolta a favore della Caritas diocesana per tutte le famiglie che hanno perso il lavoro.