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“Così aiutiamo le vittime della tratta degli esseri umani” | Intervista a Laura Pelle

(di Ilaria Alleva) TerniLife oggi incontra Laura Pelle, la responsabile per l’Associazione San Martino Caritas di Terni-Narni-Amelia, che svolge attività socio-assistenziali e socio-sanitarie all’interno del progetto per l’Umbria FreeLife. La mission è la tutela dei diritti civili delle fasce più deboli della società, tra cui le vittime della tratta di esseri umani, di sfruttamento lavorativo e sessuale, della schiavitù e dell’asservimento, per matrimoni combinati o per il mercato di organi. L’operazione congiunta tra la squadra mobile di Rieti e Terni che ha portato al rintraccio di una ragazza nigeriana qualche giorno fa, ha fornito l’occasione per saperne di più sull’assistenza che viene fornita alle vittime di questi intrighi internazionali, e abbiamo chiesto proprio a Laura Pelle.

Com’è strutturata nello specifico la rete di accoglienza?

Il progetto ha respiro nazionale, ogni regione ha più di un punto d’appoggio sul territorio. In Umbria ci sono l’Associazione San Martino Caritas a Terni, la Fondazione Crispolti di Todi, su Perugia la Cooperativa Gorese e l’Arci Solidarietà. A Rieti, ad esempio, non abbiamo appoggi perché si fa riferimento alle associazioni di Roma, e aiutare le persone in queste zone è più difficile. Tutte le associazioni si occupano di accoglienza di primo e di secondo livello. I membri delle equipes di accoglienza sono costantemente aggiornati e seguono corsi formativi permanenti. Con l’aiuto delle associazioni le vittime possono svolgere un percorso volto al loro reinserimento sociale a livello scolastico, lavorativo e sanitario. Ad esempio, nella struttura di Todi, denominata Decanter, vanno persone in pronta accoglienza, donne e uomini (ma anche minori), che hanno bisogno di fare il punto della situazione.

Come venite a conoscenza di questi casi di sfruttamento?

Noi cooperiamo con le Forze dell’Ordine, con i servizi sociali, e inoltre c’è il numero verde nazionale 800 290 290 cui possono rivolgersi tutte le persone vittime (o a conoscenza) di casi di sfruttamento. Il progetto è finanziato dal PPO (Progetto Pari Opportunità) a livello nazionale, riferito alla legge 286 del ’98, ex art. 18 e 33.

Quali sono le prime mosse per mettere in sicurezza la persona?

Quando le persone vengono prese sul territorio di riferimento le spostiamo per salvaguardare le loro vite. Il fatto è che spesso sono individui che cercano di arrivare nel Nord Europa per migliori condizioni di vita, ma per poter affrontare il viaggio contraggono un debito da restituire di 30, 35, 40 mila euro. Rischiano la vita, subiscono ricatti, spesso gli sfruttatori minacciano di rifarsi sulle loro famiglie e in realtà anche noi delle associazioni rischiamo la vita. Teniamo delle riunioni mensili per essere sempre aggiornati.

Come ci si muove per staccare le vittime dai propri sfruttatori?

Una volta che siamo venuti a conoscenza del caso e abbiamo accolto la persona in questione, questa deve denunciare, ma non è semplice convincerla. Chiaramente la volontarietà delle persone è al primo posto. Si ha paura per la propria incolumità e quella dei cari, dunque per convincere le vittime a denunciare la strada è lunga, ma nel momento in cui lo fanno (da subito presso la squadra mobile o i carabinieri locali) scattano le indagini, e loro riescono a ottenere un permesso di soggiorno specifico, ovvero quello di soggiorno per protezione sociale. Ci sono quindi delle tutele dedicate proprio a questi casi.

C’è una forma di tutela anche per le famiglie magari residenti fuori dall’Italia?

Purtroppo non ancora, si prega di non rivelare dove si trovano, ma è una tutela minima. Prima di arrivare alla denuncia cerchiamo di fare diversi colloqui, come equipe, con dei percorsi strutturali mirati. Se la vittima non vuole denunciare, si cercano percorsi alternativi. La mission del progetto è sempre quella della massima attenzione all’individuo.

Come si intrecciano le reti di traffico internazionali a quelle locali?

Le reti di traffico si diffondono a livello internazionale, può succedere che nei territori nazionali ci possano essere delle reti organizzative che si occupano della gestione locale. Di solito l’Italia è solo una tappa di passaggio. La rete di traffico è molto ampia e coinvolge molti paesi: le donne che accogliamo sono quasi sempre nigeriane, ma ci è capitato anche di accogliere due uomini vittime di tortura, uno di origine guineana e l’altro di origine camerunense. Capitano anche moltissimi minori. Infatti, sebbene aiutare queste persone sia un’esperienza di arricchimento immensa e bellissima, le equipes che se ne occupano subiscono pesanti sovraccarichi emotivi.

Foto: TerniLife ©

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