“Inaccettabili, letteralmente inaccettabili. Non troviamo altri termini per definire le dichiarazioni di ieri sera, in diretta televisiva, del Presidente del consiglio, che ancora una volta rinvia a un calendario ipotetico, del quale peraltro non c’è traccia nel decreto emanato, la riapertura di alcuni settori, tra cui il piccolo commercio al dettaglio e soprattutto i servizi alla persona. Dire ad un’impresa, indipendentemente dal settore in cui opera, che potrà riaprire a partire dal diciotto maggio oppure, ancor peggio dal primo giugno, equivale a una condanna certa di chiusura.”
Roberto Giannangeli, direttore di Cna Umbria, non nasconde la profonda delusione per la posizione assunta del Governo, la grande preoccupazione per la sorte di interi comparti economici e, al tempo stesso, la paura per la tenuta sociale della collettività.
Le attività che in Umbria saranno costrette a restare chiuse anche dopo il 4 maggio sono circa 20mila, il 25% del totale, con il rischio di perdere circa 50mila posti di lavoro tra titolari e dipendenti. Alla paura per il contagio e allo stress per la reclusione in casa che perdura da oltre un mese, in queste ore si sta diffondendo il timore di non riuscire a riaprire fra un mese.
“Tanti imprenditori, con le loro famiglie e i loro dipendenti, non possono permettersi il lusso di continuare a vivere senza lavorare. Come è possibile che non si capisca che, essendo ormai chiaro che con questo virus dovremo convivere almeno fino a quando non sarà trovato un vaccino, la qual cosa potrebbe richiedere anche più di un anno, l’unica cosa sensata da fare è quella di individuare il modo di tornare a lavorare limitando al massimo le possibilità di contagio? Non esistono altre strade, bisogna solo applicare i protocolli di sicurezza già predisposti alle varie tipologie di attività. Il Governo ci sembra che non si stia rendendo conto dei rischi sociali, oltre che economici, di questa decisione. Mentre molti Paesi, anche in Europa, sono riusciti a contenere i contagi e le morti senza distruggere il proprio tessuto economico, da noi l’unica strategia che si continua ad attuare, a due mesi dall’inizio dell’emergenza, è quella di bloccare l’Italia. Ancora non sono chiare le strategie concrete di contenimento del contagio, su come riprendere a vivere, su come tornare a produrre, a far circolare liquidità. Dopo il ricorso alle tante task force, è arrivato il momento di scelte che permettano di coniugare il lavoro con la tutela della salute. A meno che il governo stesso non si faccia carico di restituire agli imprenditori il mancato guadagno attraverso sostegni a fondo perduto. Sappiamo che ciò non sarà possibile: per l’Italia si profila una perdita di oltre l’8% del PIL e un aumento del debito pubblico oltre il 150%. Finora le imprese costrette a stare chiuse al massimo hanno ottenuto una sospensione delle tasse anziché una loro riduzione.”
Le imprese del benessere chiuse dall’11 marzo già stimavano una perdita sul fatturato annuo di oltre il 40% per gli acconciatori e di oltre il 70% per le estetiste, che proprio nei mesi di marzo, aprile e maggio quelli vedono concentrarsi la massima richiesta di servizi nell’estetica. Non parliamo invece della possibile perdita che potranno subire tutti i piccoli negozi commerciali, a partire da quelli dell’abbigliamento, se salterà la stagione estiva. Nessuna delle nostre imprese sta chiedendo di riprendere a lavorare come se nulla fosse, sono consapevoli del problema e pronte ad adottare tutte le precauzioni indispensabili per la tutela della propria salute e di quella di dipendenti e clienti, ma nessuna di loro è in grado di resistere al blocco totale dell’attività per un altro periodo di tempo. Il nostro appello, quindi, continua a essere quello di far riaprire tutte le imprese, senza distinzioni. Perché la protesta si potrebbe trasformare in rivolta– conclude Giannangeli”.
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