Cinquemila posti di lavoro persi solo nel settore privato non agricolo negli anni della crisi in provincia di Terni, con un tracollo evidente a partire dal 2012. Questo il dato ripreso dall’Inps e relativo al 2014 ma, secondo la Cgil di Terni, è difficile immaginare un recupero significativo nel corso del 2015.
“Si tratta di numeri che si commentano da soli – scrive in una nota Attilio Romanelli, segretario generale della Cgil di Terni – numeri che non fanno altro che confermare le nostre convinzioni sulla necessità immediata di un Piano del Lavoro per l’Umbria, che sia in grado di invertire la politica liberista adottata, anche nella nostra regione, fondata sulla convinzione, assolutamente sbagliata, che il mercato e le forze in esso operanti possano, in modo spontaneo e libero, creare lavoro e ricchezza”.
Una convinzione avvalorata anche dalle informazioni che arrivano al sindacato attraverso il suo ufficio vertenze: “Sono sempre più numerosi i lavoratori che si rivolgono a noi perché subiscono accordi, non siglati dalla Cgil, in virtù dei quali, pur di conservare il posto di lavoro, si vedono costretti a rinunciare a diritti fondamentali quali il Tfr maturando, le ferie, i permessi retribuiti e persino pezzi di salario”, spiega Romanelli.
A fronte di questa situazione sempre più critica, la Cgil di Terni torna con forza a chiedere un ruolo attivo delle istituzioni umbre “che possono dare vita – continua il segretario della Camera del Lavoro – ad una nuova stagione in cui lavoro, ambiente e qualità della vita si incontrino e blocchino l’emorragia occupazionale e la fuga di giovani che ha investito l’intero territorio umbro”.
Quali gli strumenti a disposizione? “Noi li abbiamo indicati da tempo – afferma ancora Romanelli – In primo luogo un uso oculato ed efficiente dei fondi strutturali che sono disponibili; poi, il riconoscimento della strumentazione legislativa prevista a livello nazionale e legata alla definizione di area di crisi complessa; e ancora, una politica del credito attiva, partendo dal nuovo ruolo che dovrebbero avere le Fondazioni Casse di Risparmio, detentrici di rilevanti risorse finanziarie che appartengono alla comunità. Il tutto – conclude Romanelli – accompagnato dall’azione di Sviluppumbria e naturalmente da un ritrovato protagonismo delle associazioni datoriali e delle forze sociali”.
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